ANGELO INCARDONA

La favola intrigante di Angelo Incardona

Dopo la Mostra dedicata a “I Maestri” Solferino, Buldrini, Gino Baglieri e al figlio di Dalì Van Roy e alla collettiva dei pittori “I Mediterranei”, ecco una personale ad opera del pittore Vittoriese Angelo Incardona. Un pittore autodidatta a tutti gli effetti, un pittore della domenica, visto che aveva iniziato a lavorare nei ritagli di tempo, come fosse un hobby. Il suo lavoro era il mestiere più antico del mondo, il barbiere. Per motivi vari, dovette smettere e conservare gli attrezzi, coltivando a tempo pieno la pittura, forgiando il pennello e i colori, con la maestria degli utensili da barbiere. Potremmo dire un nuovo Ligabue dei tempi contemporanei, che riesce ad esprimersi ritraendo alberi d’ulivo, in un contesto paesaggistico ibleo, mentre Ligabue amava dipingere gli animali, modo diverso di intendere l’arte, nel darci suggestioni e sensazioni, descrivendoci la natura, con i suoi colori forti; Incardona con i suoi gialli e il grigio verde del fusto d’ulivo, offre invece allo spettatore emozioni diverse. Un pittore Incardona, che merita attenzione, un pittore che esprime attraverso le pennellate ed i colori di un giallo solare, mediterraneo, di questa nostra terra iblea, sentimenti nel pieno della purezza, della trasparenza, della ingenuità dell’essere .

Dunque la Scri.Ba Arte, ha ritenuto doveroso inserire nel calendario questo pittore che sicuramente più avanti negli anni, farà parlare di sé, proprio per la sua coloristica e il suo amore per la pittura, in merito, mi è venuto spontaneo parlare di lui attraverso questa mia riflessione.

“Ed io vidi l’albero d’ulivo in quel giorno di Pasqua, ferito da gente di poca fede, Gesù stringeva fra le mani un ramoscello d’ulivo, mentre si accingeva ad entrare in Gerusalemme. Piangevano le foglie, piccole e appuntite, di un verde marcio, in quell’attimo di tragedia, che stava per avvolgere le generazioni. Ricordi, di un racconto millenario, sempre presente nel mio cuore. Tutte le volte che mi trovo nelle campagne e incontro il fusto ferito dell’albero d’ulivo, annodato in ogni ramo, o squarciato nel suo corpo, forte resistente, nei secoli alle intemperie. Angelo Incardona, semplice uomo dagli occhi stanchi, sinceri e birichini, tenace, seppure causa la salute, costretto abbandonare il lavoro da barbiere. Adesso come in un sogno, vive da alcuni anni, l’amore per l’arte. La favola più intrigante che la vita possa offrirle. Sposandosi con l’albero d’ulivo, il paesaggio, dipingendoli, in ogni sua forma e movimento, nella sua tridimensionalità, e nel suo miscelarsi con la terra ed il cielo, in una prospettiva reale, illusionistica nel contempo; incrostando i prati, di colore di un giallo luminoso, di un cielo azzurro, nel pieno della serenità e a volte, di un rosso forte, come quando, il tramonto lascia parte del giorno, con tutte le sue amarezze e le sue meravigliose degustazioni, dei momenti piacevoli. Quando il mio sguardo si posa su uno dei tanti dipinti, ove l’ulivo è messo in primo piano, come una prima donna, una modella, che nel suo ondeggiarsi posa melanconica, all’occhio della gente, per la paura di invecchiare, ma l’ulivo è lì, orgoglioso di esistere, seppure i suoi annodati tronchi, fanno intravedere le rughe dei suoi anni, parlando con le pietre dei muri a secco, della nostra contea. L’ulivo dipinto da Angelo Incardona non ha nulla di eguale se lo si vuole paragonare all’ulivo del grande artista Palermitano, Lo Iacono, che nei suoi paesaggi, esprime tutta la natura coloristica dei Mediterraneo, della nostra isola. Nei dipinti di Lo Iacono, Maestro dell’800, i colori pastosi vibrano nella piena luminosità del suo sposarsi con gli azzurri e con i bruni, mentre Angelo Incardona, fa vivere la sua pittura, avviluppando nei gialli forti e nei verdi, la maestosità della pianta.
Si intravede il Pathos nell’essenza, e con i colori, i pennelli e la pittura, dire più di quanto riesca con la parola.

Gino Baglieri – gennaio 2003

LA NATURALEZZA COLORISTICA E TEMATICA NELLA PITTURA DI ANGELO INCARDONA

Immeritatamente emarginata dal sistema internazionale dell’arte, intenzionalmente ignara delle ultime “tendenze” del contemporaneo, immemore delle ricerche d’avanguardia e indifferente verso i cerebralismi dello sperimentalismo, esiste un’arte (altrettanto degna, ma spesso declassata a produzione di serie “B”) che trova ì propri spazi al di fuori del sistema internazionale essendole precluse le vie delle varie Biennali o dei musei d’arte moderna e contemporanea: snobbata dalla critica militante, ignorata dalle riviste propositive, vilipesa da mercanti e galleristi up to date….

Eppure incontra immancabilmente i favori del vasto pubblico, l’ammirazione di esperti e non: è l’arte che ha i suoi principali e più noti esponenti in pittori come Michele Cascella e Azzinari Un’arte che certo non vedremo alla prossima Biennale di Venezia o al MOMA di New York, ma possiamo ammirare nelle abitazioni di privati collezionisti che all’opera d’arte e al suo artefice non chiedono scandalo o provocazione, né (spesso insensati o addirittura derisibili) concettualismi o astrusi intellettualismi, ma il piacere di poter ammirare quotidianamente un’opera che è (e vuol essere) null’altro che espressione della bellezza della natura.

Molti artisti, soprattutto tra gli autodidatti (che non hanno, quindi, subito le vessatorie influenze dello sperimentalismo), si accostano all’arte proprio per amore verso la Natura, riproducendola mimeticamente per confrontarsi con essa vis à vis, da “artista ad Artista”, o per immortalarla per conservarne intatta la bellezza, soprattutto quando quella stessa natura sta per svanire cedendo lentamente ai colpi inferti dalla “civiltà” industriale.

Angelo Incardona pittore e scultore autodidatta da non molti anni affacciatosi all’affascinante mondo dell’arte oppure già dotato di tecnica e linguaggio definiti e autografi, s’inquadra in questo contesto di ricerca del “bello” insito nella natura, indipendentemente da condizionamenti determinati dall’arte di tendenza.

In effetti, a molti artisti è spesso rimproverato (giustamente!) di limitarsi a riprodurre pedissequamente ciò che osservano senza apportare una propria, personale reinterpretazione in qualsivoglia chiave (psicologica sociologia etc.); e in quest’impasse si trovano le linguisticamente aride poetiche di artisti pur “celebrati” e addirittura “osannati” dal mercato come i predetti Cascella e Azzinari, il cui successo è, di fatto, determinato esclusivamente dall’impatto estetico delle loro opere.

L’attività artistica di Angelo Incardona se ne discosta, inquadrandosi a pieno titolo come “ricerca”, non storico?sperimentale, certamente, né psicologica o sociologica, ma come continua proiezione verso un perfezionamento tecnico che non mira alla simulazione della mimesi bensì all’elaborazione di uno stile autografo, immediatamente riconoscibile e riconducibile al suo autore senza possibilità di indecisioni o equivoci attributivi: pur trattando quasi esclusivamente tematiche e soggetti tradizionali (paesaggi agresti, fiori e vegetazione endemici, nudi etc.), Incardona riesce a infondere nelle proprie opere una “firma” stilistica.

Tra gli artisti iblei in particolare, carrubi e ulivi sono stati oggetto d’attenzione ritrita “sino alla nausea”, ed è pressoché impossibile riconoscere tra queste moltitudini di alberi più o meno simili gli uni agli altri quale sia opera di chi piuttosto che di altri! Il valore dell’arte di Incardona consiste proprio nella sua capacità di creare opere “diverse”, sì carrubi, ulivi etc., ma non riconducibili ad altri che a lui soltanto.

In un suo albero sono riconoscibili sembianze antropomorfe che lo spogliano della natura vegetale conferendogli natura “umana”: più volti aggrovigliati si manifestano tra le contorte cortecce, in dipinti che quasi perdono la valenza di “paesaggi” per acquisire quella di misteriosi, arcani “ritratti”.

Incardona rende efficacemente l’imponenza e la plasticità degli alberi (non a caso è anche valente scultore, autore di originali opere in argilla e polimateriche), tenendo sempre in particolar conto la terza dimensione, come dimostra anche la resa della prospettiva aerea, particolarmente evidente in opere come “Ulivo solitario”; ed efficacia prospettica ha anche “l’ombra” dell’omonimo dipinto, proiettata su un campo di grano da un albero “fuori campo” (espressione cine?fotografica in questo contesto quanto mai opportuna … ), a suggerirne la presenza, ma attirando l’attenzione dell’artista ancor più dell’albero stesso.

E lo studio prospettico è tra le peculiarità dell’artista, che costantemente lo ricerca anche laddove la prospettiva è rilevante in minor misura, come nei campi aperti, ove seno assenti linee rette orientate verso punti di fuga, ciononostante ottenendo il risultato di un senso di “superamento” della linea d’orizzonte, attraendo l’osservatore a “immergersi” nell’opera, a percorrerne i sentieri per andare a conoscere cosa si trovi al di là dell’orizzonte stesso….

Che Incardona non potesse limitarsi a una trattazione “ordinaria” del paesaggio ibleo lo preannunciavano alcune opere della prima produzione, improntate a una rappresentazione metaforica, talvolta surreale e persino “anti?naturalista”; la ricerca e un processo di purificazione formale e tematica lo hanno condotto gradualmente al naturalismo, ma dotato dei caratteri dell’originalità stilistica propria di un artista che non s’accontenta di riproporre la realtà osservata senza personali apporti riflessivi.

Nella miriade di ulivi, carrubi e campi immortalati, si evidenzia un progresso stilistico quasi impercettibile tra un’opera e la successiva, ma evidentissimo tra opere realizzate a distanza di tempo: se ne ravvede lo studio, costante e incessante nella ricerca del continuo perfezionamento.

In effetti la trattazione tematica non è limitata ai predominanti soggetti arborei o al paesaggio immerso nella luce solare, ma spazia sino all’autoritratto (particolarmente rilevante uno realizzato su supporto tondo in cui il corpo dell’artista in mezzo a un campo di grano si fondo coloristicamente con la vegetazione, in una suggestiva fusione uomo?natura che rende l’opera imprevedibilmente “irreale”, in opposizione all’assoluto realismo del soggetto di partenza),

E ancora si concentra nello studio di tecnica e gestualità in opere come “Presepe”, Incontro/confronto tra pennellata oculata e precisa, e spatolata energica, finanche “violenta”, nella medesima opera.

Ma è nei notturni (naturale e immancabile verso della medaglia, pendant dei paesaggi diurni) che Incardona si esprime con la massima efficacia: nella predominanza delle varie tonalità del blu, ancora una volta si presenta il giallo, ma senza prepotenza, con armonia anzi, in perfetta coesistenza con i colori della notte. Qui il rapporto luce?colore acquisisce fondamentale rilevanza, sino a determinare le ragioni moventi del lavoro, prevalendo sulla peculiarità del soggetto: semplicemente “Notturno” s’intitola, infatti, la migliore fra queste opere, un paesaggio su una scogliera che s’affaccia sul mare.

Incardona è particolarmente attratto dall’utilizzo del colore giallo (suo segno distintivo … che applica frequentemente nella resa dell’abbacinante luce mediterranea; sino a fame il colore predominante del nudo soggetto dell’opera “Dormiente”, rendendo un incarnato irreale quanto suggestivo ed efficace in una delle opere più rare ma riuscite e valide.

Nella varietà della trattazione tematica, la predilezione per il colore giallo funge da collante dell’intera produzione, che in definitiva pare configurarsi prevalentemente proprio come riflessione analitica incentrata sul colore più “solare”, il più rappresentativo della terra di Incardona, la Sicilia. Un’analisi incentrata sui valori cromatici, simbolici ed emotivo?conativi del più “squillante” dei colori a tal punto preminente da farne l’oggetto del titolo della mostra recuperando una sinestesia kandinskijana, ma con altre valenze: nella pittura di Incardona il <> non necessariamente <<è quello della tromba>> (Kandinskij), ma può rivestire anche il melodioso suono del violino…

Giorgio G. Guastella – dicembre 2002